D. Nel vostro sito leggo: macinando ulteriormente la semola si ottiene la “semola rimacinata” o più comunemente chiamata “rimacinata”. Grazie a questa ulteriore macinatura si ottiene una granulometria più fine rispetto alla semola che si avvicina molto a quella della farina.
La rimacinatura della semola (di grani antichi) è sempre fatta a pietra? Mantiene comunque il germe di grano e crusca?
R. Cerchiamo di chiarire un possibile equivoco.
Quando in alcuni casi sulla nostra etichetta compare la dicitura “rimacinata” questa dicitura non fa riferimento alla procedura di macinazione ma piuttosto al modo comune di chiamare le farine di grano duro nelle regioni meridionali ed insulari del nostro bel paese.
Quando si macina il grano duro si ottengono due frazioni, ognuna con la sua parte di germe: da una parte la semola integrale e dall’altra la farina.
La semola servirà per produrre pasta secca e verrà utilizzata in cucina per gnocchi alla romana, semolino, etc.
La farina verrà usata per la panificazione (molto diffuso al sud l’uso di grani duri per il pane) o per la pasta fresca.
Al sud la frazione farinosa, a causa delle condizioni climatiche è molto ridotta. Da qui l’uso di rimacinare la semola per permettere di soddisfare l’alta richiesta di farine panificabili. Questo uso diffuso fa sì che la farina si chiami comunemente rimacinata anche quando non lo è.
Nel nostro caso le condizioni climatiche ci consentono di non dover ricorrere alla rimacinatura perché la frazione farinosa che otteniamo nella prima lavorazione è molto più consistente di quanto non accada ad esempio in Sicilia, regione di origine del nostro papà. È proprio grazie a questa memoria culturale che abbiamo adottato il termine rimacinata sulle nostre confezioni di farina di grano duro. Confezioni che contengono quella frazione di germe che durante la macinatura si divide andando in parte nella farina e in parte nella semola.
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